Come ogni anno, di questi tempi, divampa la guerra – l’unica che possa dirsi giusta e santa – che oppone noi residenti del centro storico di Bologna (chi scrive dimora in Via del Pratello, con ben due giovani figliuoli a carico) a sedicenti artisti di dubbia provenienza, musici di basso rango, studenti fuorisede e fuoricorso (per lo più meridionali), perditempo strutturali, vagabondi endemici, fracassoni e vandali d’ogni ordine e (de)grado, cui è del tutto sconosciuto l’intramontabile adagio illuministico alla cui stregua “la libertà di un individuo finisce laddove inizia la libertà di un altro individuo”.
Come cittadino residente, mi ero illuso, anche grazie all’infaticabile tenacia dei comitati anti-degrado, d’aver conquistato, una buona volta, il diritto alla quiete. In tal senso militavano, del resto, le misure antidegrado poste in essere dalle precedenti giunte comunali, quali la integrale parcheggiabilità di Via del Pratello (fiore all’occhiello del comitato “Al Crusel”, nato come comitato antismog ed all’uopo tramutatosi in comitato anti-degrado), le plurime ordinanze sul consumo di alcolici, la presenza ingente di forze dell’ordine nelle aree di Piazza Verdi e delle vie circostanti della zona universitaria. La soluzione era stata, in fondo, ragionevole e persino elementare: dove ci sono macchine, non possono, contemporaneamente, esserci persone; dove c’è astinenza, si rinviene sobrietà; dove vi è polizia regnano, all’unisono, pace, sicurezza e libertà (salva, forse, la presenza di qualche pecora nera, come sembra suggerire il recente film “Diaz”: ma dove non ce ne sono?).
Si trattava di modeste misure di civiltà, più che compromissorie rispetto all’originario intendimento, tacciato (ma con quanta protervia!) di liberticidio: vietare gli assembramenti di tre o più persone ai bordi delle strade o delle piazze, peraltro solo dopo le ore 22.15, per garantire ai cittadini il sacrosanto diritto al riposo.
Oggi, complice l’inopinato edonismo del sindaco e di un suo assessore – significativamente sorpresi a prender parte ad un concerto rock, proprio nella regione ferita dal terremoto! – mi vedo costretto a rivedere convinzioni pregresse, suggerendo – anche in qualità di coordinatore di circolo di un partito di maggioranza – la revisione dei termini della mediazione faticosamente raggiunta.
Innanzitutto, il sostrato teorico su cui riposano le misure che mi appresto a suggerire: come dice il leader di Sinistra Ecologia e Libertà, “noi abitiamo una sconfitta storica, che è culturale, prima ancora che politica”. Ecco. Non credo di tradire il senso dell’affermazione, dicendo che, noi tutti, vagolando nei meandri della postmodernità, abbiamo rinunciato al pensiero lungo e ceduto alle sirene del pensiero debole. Abbiamo, in tal modo, accettato di distinguere le forme di vita propriamente devianti da quelle che ne costituiscono il brodo di cultura, sicché abbiamo stigmatizzato le risse a cocci di bottiglia ma abbiamo tollerato che detti recipienti fossero usati per bere la birra, senza dare il giusto peso all’elementare rilievo che senza bottiglie nemmeno ve ne sarebbero i cocci; abbiamo lasciato fare musica e concerti, trascurando quale esaltazione comporti, nella psicologia delle masse, l’intreccio e la mescolanza dei diversi dinanzi a una comune ed inebriante passione; abbiamo persino sopportato che il circondario di P.zza San Francesco fosse teatro di giardinaggio abusivo da parte di bambini del quartiere, così trasmettendo alla parte più fragile e indifesa della nostra comunità il messaggio che la legalità sia un optional e il rispetto delle regole un inutile orpello.
È giunto il momento di fare autocritica e gridare forte il messaggio che abbiano sino ad oggi troppo prudentemente taciuto: IL DEGRADO SONO GLI ALTRI.
Con questo – si badi – non intendo certo disconoscere forme di vita diverse da quelle che io ed altri cittadini residenti abbiamo scelto per noi e per le nostre famiglie. Semplicemente desidero, per onestà intellettuale, che siano chiamate per quello che sono. Né, da uomo di sinistra, penso sia giusto punire o reprimere chi ha liberamente deciso di far altro della propria vita. Semplicemente, dovremmo invitarli a trovare dimora in città diverse dalla nostra, per esempio Berlino, Parigi, Madrid, Amsterdam, Lisbona, Barcellona, Praga e tante altre città ancora, laddove, regolarmente, si tengono concerti, festival teatrali, musicali e cinematografici, manifestazioni culturali, notti bianche (o “notti in bianco” come amo chiamarle) feste all’aperto, e mille altre iniziative aperte a chiunque voglia prendervi parte.
Quanto a Bologna, rispettiamone, invece, lo “statuto di luogo”. Facciamone, in questo tempo di globalizzazione omologante e selvaggia, il tranquillo borgo medioevale ch’era un tempo. Farei notare che al tempo di Bologna la Dotta, la Guelfa, nemmeno c’era l’amplificazione e la chitarra elettrica, mentre le contrade ospitavano, in diurna, devoti giullari di corte.
Certo, la tradizione va innovata. Ma per far questo mi pare che i tortellini siano più che sufficienti. È, in fondo, ciò che si ricorda, all’ombra delle torri, dopo un viaggio in Italia affrontato d’oltreoceano. Ed è giusto che così sia, perché qui – se qualcuno ancora non se ne fosse accorto – le cose sono fatte per durare, come nella Contea di Bilbo Beggins.
Come rimediare, dunque, ai mali incurabili dell’imminente estate bolognese? È presto detto.
Aprire il grande cantiere dell’alternativa al degrado. Inaugurare gli stati generali del decoro. Coinvolgendo le comunità, le associazioni, i comitati e l’intera società civile sulle misure da scegliere. Sapendo, tuttavia, che non si parte da zero. Ad esempio, una proposta che avrebbe pure il pregio di valorizzare l’esito del referendum dello scorso giugno sui bei comuni è già in campo: idranti ad acqua pubblica sulla gente, (ma dopo le 23,00), così da ripulire, in ogni senso, il lastrico dei nostri sogni per la mezzanotte. Purché, poi, non si riduca il senso e l’efficacia della misura in corso d’opera, come accade troppo spesso per insipienza o timore.
Se ciò non bastasse, potrebbero distribuirsi, ai residenti, agili carabine con proiettili di gomma. Un Comune pacifista, dovrebbe caldeggiarne l’impiego in luogo dei proiettili di metallo; un comune virtuoso, dovrebbe garantirne la raccolta differenziata e pure il riutilizzo “a impronta zero”.
Se poi anche questo non garantisse i risultati sperati, mi sentirei di proporre un’ulteriore soluzione la quale, pur costosa, potrebbe divenire praticabile dopo i tagli alle spese militari da più parti invocati: non sprechiamo decine di miliardi nell’acquisto di costosi aerei militari. Dotiamoci, piuttosto, di agili elicotteri ad uso metropolitano. Ed usiamoli, con metodo chirurgico, per cospargere napalm sui “luoghi caldi”, ma solo a tarda notte, quando la brava gente è al riparo in casa propria.
Se a qualcuno la misura sembrasse eccessiva, avrei certo modo di rassicurarlo. Tutti i giorni, difatti, quando esco per accompagnarli a scuola, i miei figli mi dicono: “papà, quanto ci piacerebbe l’odore del napalm la mattina…”. Non vi pare che sia giunto il momento di accontentarli?
Federico Martelloni
Circolo Gian Maria Volontè
SEL-Bologna